Vista la calura estiva, ripropongo qui un articolo di Focus di qualche tempo fa, a proposito della presenza di ossidi di piombo nell’alimentazione romana: ricordiamolo, la presenza di piombo causa saturnismo. La sua presenza nell’acqua, però, non sembra esser stata in percentuali tali da concorrere al declino della civiltà di Roma.
Piombo nell’acqua degli antichi romani
Nelle case dell’Urbe arrivava un’acqua con una quantità di piombo 100 volte superiore al normale. Una concentrazione notevole, ma non abbastanza alta da causare problemi di salute.
Nell’acqua che bevevano gli antichi romani c’era una quantità di piombo almeno 100 volte superiore rispetto all’acqua delle sorgenti locali: è quanto sostiene una ricerca dell’Università francese di Lumière, Lione, pubblicata sulla rivista scientifica USA Proceedings of the National Academy of Sciences.
Questa contaminazione, dovuta al complesso sistema di tubature degli acquedotti dell’Urbe, se pur non compatibile con i moderni standard igienico-sanitari non era tuttavia sufficiente – hanno concluso gli scienziati – da rappresentare una minaccia per la salute.
Dal tubo al bicchiere. Secondo alcune testimonianze storiche, proprio l’avvelenamento da piombo sarebbe stato alla base di alcuni dei malanni più diffusi nell’Antica Roma (come per esempio la gotta, una forma di artrite infiammatoria) e avrebbe in qualche modo anche contribuito al declino dell’aristocrazia – minata nella salute – e alla caduta dell’Impero.
Per verificare queste ipotesi gli archeologi hanno prelevato campioni di sedimenti in alcune delle più importanti vie d’acqua romane: nella zona che precede il delta del Tevere, nei canali limitrofi e nelle vicinanze del Portus, l’antico Porto di Claudio e Traiano dove oggi si trova Fiumicino. Le analisi geochimiche sono state confrontate con le testimonianze storiche della presenza umana nelle varie aree e con le analisi di cinque tubature per l’acqua del I-II secolo d.C.
È emerso che nel periodo di splendore dell’Impero la contaminazione di piombo nell’acqua raggiunse un picco, dovuto probabilmente alle condutture utilizzate per l’acqua. Gli isotopi di piombo rinvenuti nei sedimenti sono infatti compatibili con quelli delle miniere di Spagna, Francia, Inghilterra e Germania dove venivano estratte le materie prime per realizzare le fistulae, le tubature idriche degli acquedotti romani.
Non è colpa del rubinetto
Nonostante i livelli di piombo da record non ci sono elementi tali – scrivono gli scienziati – per sostenere che l’acqua dell’antica Roma avvelenasse i suoi abitanti, e tantomeno che l’Impero sia caduto a causa del sistema di distribuzione idrico. «Ci vuole ben altro per avvelenare un’intera civiltà» hanno affermato gli archeologi.