La fine dell’archivio dei tesori pugliesi

DIMENTICATO NEL SEMINTERRATO FRA POLVERE E TOPI, LA FINE DELL’ARCHIVIO DEI TESORI PUGLIESI
Doveva essere digitalizzato, marcisce nell’ex convento di Santa Chiara occupato: compromessi disegni storici, rilievi architettonici della Soprintendenza dal valore inestimabile
di ANTONIO DI GIACOMO, La Repubblica-Bari 9 agosto 2014

La memoria a brandelli, fatta a pezzi dall’incuria. Stavolta è la storia dei beni culturali pugliesi a pagarne le spese, dimenticata com’è da chissà quanto tempo nel seminterrato dell’ex convento di Santa Chiara, dallo scorso 11 febbraio occupato da circa duecento migranti africani con lo status di rifugiati politici. Proprio pochi giorni fa l’architetto Emilia Pellegrino, responsabile unico del procedimento per il progetto di restauro di Santa Chiara e la musealizzazione del castello normanno svevo, aveva confidato non senza preoccupazione a Repubblica che “nel seminterrato c’è l’archivio dei disegni storici e dei rilievi della Soprintendenza ai Beni architettonici”.
Documenti preziosi, spiegava l’architetto, “come quelli che documentano il restauro della Cattedrale di Bari avvenuto nella prima metà del Novecento. Materiale cartaceo da preservare perché, sotto il profilo documentario, dal valore inestimabile e soprattutto non ancora digitalizzato”.

Oltre ogni pessimistica previsione, invece, la scoperta che Repubblica ha fatto dello stato in cui versa quello che ormai converrebbe chiamare “ex” archivio della Soprintendenza. Parole come degrado e abbandono, in effetti, sembrano eufemismi rispetto allo stato delle cose: basta attraversare un corridoio di ponteggi in legno, peraltro aperto a chiunque e piuttosto posticcio, e varcare così le soglie del seminterrato per prendere atto di una situazione disastrosa e in parte irrecuperabile.

Più che un archivio sembra di essere catapultati in una discarica dove, in luogo dei rifiuti, trovano posto disegni e rilievi architettonici e fotografie storiche dei beni culturali pugliesi, prima e dopo i loro restauri. E poi ancora: progetti e faldoni d’archivio che testimoniano gli interventi ai quali sono stati sottoposti i monumenti pugliesi fra castelli, chiese, palazzi storici, insediamenti rupestri e qualsiasi altro bene sia finito sotto tutela nelle province di Bari, Barletta-Adria-Trani e Foggia.

Ed è senza parole l’urbanista Dino Borri, presidente regionale del Fai, dinanzi allo spettacolo che gli si presenta dinanzi agli occhi. “Non capisco perché questa roba non sia stata trasferita all’archivio di stato provinciale” esordisce stupefatto: “Il contesto in cui sono stati abbandonati questi materiali è disastroso: umido, pieno di polveri, di aerosol marino che entra dalle finestre aperte e presumibilmente di topi che mangiano la carta, plastica e anche le foto. Si nutrono di questa roba. È un vero disastro: pochi mesi e quelle poche cose che ancora restano vanno in fumo. Bisogna salvare il salvabile e presto, sperando non accada quanto avvenne nel ’91 quando all’arrivo dei primi freddi gli albanesi nello stadio per potersi riscaldare fecero un falò dell’intero archivio comunale”.

Rispetto al materiale conservato, poi, secondo Borri si tratta di “un patrimonio documentario pubblico di estrema rilevanza perché qui ci sono le tracce di tutti i principali restauri avvenuti in Puglia intera fra chiese, palazzi, castelli. Ora non si capisce bene come siano finiti in questo stato. Chi ne sia stato il responsabile e quali possano essere le prospettive perché forse, e sottolineo forse, qualcosa si può ancora recuperare”.La circostanza, poi, che l’archivio giaccia nel seminterrato di un edificio oggi occupato è solo un dettaglio, a margine della vicenda.

“Non darei certo la colpa di questo scempio ai migranti, soprattutto perché – accusa Borri – questi faldoni e disegni non sono mica stati abbandonati qui in seguito all’occupazione di Santa Chiara. Fra l’altro qui è tutto aperto, alla mercé del primo che capita. È molto grave dunque aver lasciato l’archivio in questo spazio e bisognerebbe, ripeto, individuare le responsabilità, visto che l’impressione è che siano qui da diversi anni”.

Rispetto alle conseguenze di quest’abbandono e alla compromissione di disegni e rilievi “potrebbe essere stato pregiudicato pesantemente il restauro futuro di diversi tesori del nostro patrimonio culturale, visto che edifici di questa importanza durano nei secoli e periodicamente hanno bisogno di restauri. E ogni intervento successivo fonda sulle tracce del passato, sicché la distruzione di queste tracce compromette il restauro e la vita futura di un monumento. E non è rassicurante che alcuni di questi disegni possano essere copie, i rilievi e le fotografie sembrano non esserlo, ma gli originali potrebbero essere scomparsi negli studi professionali o perduti chissà dove in qualche altro archivio. I rilievi, in particolare, sono fondamentali prima di ogni restauro e per di più costosissimi: perderli è un danno sia per la tutela dei beni che per le casse dello Stato”.

Ma tant’è. A scendere nei sotterranei dell’archivio perduto insieme con Repubblica c’è anche lo storico dell’arte Maurizio Triggiani, docente di Tutela dei beni culturali nella sede jonica dell’Ateneo barese. “Questo luogo è una metafora di come anche la memoria possa essere dimenticata” suggerisce: “È un paradosso, ma credo sia utile per sottolineare come anche la memoria delle azioni di salvaguardia possa andare perduta”.

E come Borri anche Triggiani fruga fra i documenti accatastati al pari di rifiuti e coperti da una coltre di polvere se non accartocciati per l’umidità e le infiltrazioni d’acqua. “Si tratta di materiale preziosissimo non solo per gli studiosi ma – continua – anche per chi si occupa dei restauri. Ho sfogliato diversi disegni e, lo ammetto, ho avuto la tentazione di portare via di qui alcuni faldoni che contenevano i rilievi che l’architetto Angelo Ambrosi ha fatto chissà quanti anni fa per la chiesa di San Giorgio Martire e la planimetria di alcuni insediamenti rupestri come la chiesa della Caravella, solo per citare almeno un paio di luoghi noti qui a Bari. Ci ho rinunciato, naturalmente, perché confido che la Soprintendenza e la direzione regionale per i Beni culturali interverranno a tutela di questo patrimonio non appena saranno a conoscenza del disastro in atto”.

E se archivio perduto a parte resta in piedi l’urgenza di completare il restauro del complesso di Santa Chiara – deve essere compiuto entro il 30 giugno 2015 insieme con la musealizzazione del castello, pena la perdita dei fondi europei pari a 8 milioni di euro – Triggiani pone l’accento proprio sulla valenza architettonica e storica di quello che potrebbe essere ribattezzato sotterraneo della vergogna.

“Questo labirinto di cunicoli e arcate medievali è quanto rimane degli edifici conventuali di Santa Chiara che – ricorda – risalgono al XVI secolo. Secondo fonti storiche accreditate insisterebbero su insediamenti ben più antichi e, infatti, nel XIII secolo proprio in quest’area sorgeva la fondazione monastica di Santa Maria degli Alemanni, appartenuta insieme con l’ospedale ai cavalieri teutonici. Si parla, dunque, di un luogo degno della massima tutela, anche in ragione delle eventuali rinvenimenti e scoperte archeologiche che potrebbero avvenire in un futuro che mi auguro migliore per i beni culturali in questa città”.

Fonte: http://bari.repubblica.it/cronaca/2014/08/09/news/topi_ddd-93484609/